venerdì 28 gennaio 2011

Bearcity: Ecco i sottotitoli in italiano


«Salve, creature pelose. Io venire in pace. Grrr... Woof!»

E’ stato il film evento per la comunità gay di New York lo scorso 2010. Un inatteso botto planetario. Un botto peloso. Il film Bearcity, diretto dal regista Douglas Langway e prodotto dalla TLA Releasing, cui già si devono titoli come Another Gay Movie, dopo aver sbancato sulle scene statunitensi, è stato proiettato in anteprima europea ai Teatri di Vita di Bologna a Giugno 2010 in occasione della giornata mondiale dell’orgoglio gay, lesbico, transessuale e transgender. Un film che per svariati motivi vedremo difficilmente in Italia al di fuori delle rassegne LGBT. E’ il film bandiera della cultura Bear, forse in assoluto il primo a essere ambientato totalmente e tematicamente all’interno della comunità ursina statunitense, e a proporsi di portarne in scena i tic, le ansie, i feticci e le contraddizioni. Facendo suo il modello che ha reso celebre la serie Sex and the City, il film di Douglas Langway è una commedia romantica che segue le avventure di un gruppo di amici, orsi e cacciatori, alle prese con problemi di cuore e demenziali imprese erotiche, il tutto narrato per mezzo di caratterizzazioni spiccate, spesso irriverenti, che fanno piazza pulita di una lunga serie di ormai frusti cliché. Pare che Lawrence Ferber, vincitore con Bearcity all’Outfest di Los Angeles 2010 per la migliore sceneggiatura, abbia affermato di essersi ispirato a ricordi della propria vita e a esperienze che avevano avuto come protagonisti dei suoi amici. Bearcity (“il romanticismo può anche essere peloso”, recita il tag del film) è infatti un simpatico carosello di situazioni tipiche, di comuni imbarazzi ed entusiasmi, e cerca di rappresentare nel segno dell’Orso il cammino per l’accettazione di sé, compresa la ricerca di quegli affetti e complicità importanti per ogni essere umano.


Certo, si può affermare senza problemi che Bearcity non è Cachorro, se ne allontana, anzi, di anni luce. Non dispone dei medesimi contenuti sociali, e non si sforza di dimostrare alcuna tesi di interesse politico. Ad ogni modo, l’accostamento tra le due pellicole sarebbe superficiale per non dire inutile. L’intento di Bearcity è puramente agiografico, illustrativo di una comunità raccontata con il gusto del paradosso, ricorrendo a volte a toni anche un po’ fiabeschi. Non a caso, l’occhio con cui lo spettatore è chiamato a identificarsi non è un peloso orsone, ma Tyler (il quasi esordiente Joe Conti), un giovane cacciatore che si insinua nella comunità Bear con la stessa incantata innocenza di un Alice che esplora il suo paese delle meraviglie. Cachorro era un film didascalico, mirato a dimostrare la capacità di un omosessuale single e promiscuo di essere genitore, e la sua ambientazione presso la comunità ursina di Madrid era incidentale, ma non indispensabile ai fini del racconto. I temi pregnanti del film di Miguel Albaladejo si sarebbero potuti esprimere con la medesima forza anche se rappresentati in un contesto gay dallo stile differente. Bearcity, invece, nella sua leggerezza da commedia (un po’ demenziale, un po’ sentimentale) è un prodotto totalmente diverso. Gli Orsi, i loro raduni, il loro gergo e il loro eros peloso, sono diegetici, e la narrazione non potrebbe farne a meno senza trasformarsi in qualcosa d’altro. Un film manifesto, dunque, elogio delle diversità tra le diversità, che fa anzi degli Orsi l’emblema stesso della differenza.


E’ interessante notare come Bearcity sia uscito quasi in contemporanea con le recenti polemiche sulla comunità Bear americana, accusata da alcuni di essere una loggia esclusiva, fondata sul culto di un’ottusa virilità rigidamente contrapposta al mondo gay mainstream.  Da questo punto di vista, il film di Douglas Langway ha il pregio di descrivere uno scenario quanto meno frastagliato, da cui emergono soprattutto la varietà e le forti connotazioni camp della fauna ursina statunitense. Certo, la leggerezza del film causa qualche caduta di tono. Alcune dinamiche psicologiche sono narrate nel più elementare dei modi, e certi snodi semplicistici della trama funzionerebbero nella sintesi di un videoclip. Tuttavia, non si deve scordare che il film è pensato dagli orsi, per gli orsi e per sdoganarne la mitologia presso quanti ancora li vedono come creature lontane e un po’ aliene. D’accordo, il risultato finale, al di là della simpatia complessiva, presenta delle pecche, e ci fa chiedere se non si poteva pretendere qualcosa in più. Nello stesso tempo, però, la visione di Bearcity gratifica e apre il cuore di chi guarda con affetto al mondo degli Orsi e al loro modo di relazionarsi.


La scelta di una ciurma affiatata di attori, per lo più dichiaratamente gay nella vita, conferisce verità a un intreccio goliardico e nello stesso tempo delicato, presentandoci una serie di personaggi iconici e tutto sommato credibili. Gerald McCullouch (il volto più noto del film grazie alla sua presenza nel cast del serial TV CSI: Scena del Crimine) dà vita a una caratterizzazione deliziosamente perversa per il personaggio di Roger: daddy maturo aggrappato alla sua vita libertina, ma vulnerabile alle lusinghe di un amore inatteso che potrebbe cambiare il suo modo di percepire se stesso e gli altri. L’affascinante attore Gregory Gunter (Michael) incarna (alla lettera) il chubby che sta vivendo una profonda crisi esistenziale dopo aver perso il lavoro, e con la sua perfomance dona allo spettatore alcuni momenti di genuina commozione. Valida prova anche per i bravi Brian Keane e Stephen Guarino, una coppia di irresistibili Muppets tentati dalla possibilità di aprirsi a nuove esperienze sessuali. Personaggi vivaci che si rincorrono su una giostra di situazioni ora grottesche ora sentimentali, e sembrano volerci insegnare che la vera chiave per la felicità di una coppia è la capacità di ridere insieme, anche davanti alle situazioni più imbarazzanti.


 Furba la scelta registica di variare le tipologie fisiche dei personaggi (e interpreti) introdotti nel racconto, dimostrando scena dopo scena che, al di là delle etichette di comodo, compartimenti così stagni nell’ambiente Bear non ne esistono. Esistono gli individui, con il loro narcisismo, la loro capacità di amare, di essere liberi o fuggire. L’attore Joe Conti (Tyler) si mostra già durante i titoli di testa in tutta la sua giovanile avvenenza proprio per far breccia nei cuori dei gay dai gusti più tradizionali, ma solo per trasformarsi subito dopo in un impudente Virgilio, e per aprire le porte al regno famigerato del pelo e delle pance. Alex Di Dio (Simon), nel ruolo della sua vita, riesce a essere nel medesimo tempo irritante e simpatico, e rappresenta l’occhio alieno del giovane gay ortodosso, disorientato dalle tendenze orsofile del suo migliore amico. L’interpretazione di Alex, così sopra le righe, può logorare i nervi di chi odia gli stereotipi sull’omosessualità, ma il personaggio di Simon rimarrà probabilmente nella memoria come la più grande delle fatine fashion mai viste in un film a tematica gay. Al cast dei protagonisti si aggiunge una folla di comprimari ursini reclutati sulla reale scena bear newyorkese. Un’armata di orsi scatenati di ogni età e foggia che disegnano, con i loro corpi irsuti, la più evocativa e pertinente delle scenografie. Da segnalare, quasi come una firma, il cameo, dopo i titoli di coda, dell’ex porn performer Joe Falconi, oggi attivo nelle battaglie per i diritti LGBT e la prevenzione dell’Aids. Presenza ormai quasi irrinunciabile nei film prodotti dalla TLA.


Parlando dei sottotitoli: non è stato per niente facile tradurre in italiano i serratissimi dialoghi del film. Lo slang newyorkese, veloce e allusivo, per di più insaporito con l’irriverente gergo gay bear, è stato un drago durissimo da imbrigliare, e in alcune scene ha persino vinto lui, costringendoci a qualche compromesso. L’inglese (americano) è forse l’unica lingua al mondo dove un vocabolo può essere sia un nome di persona che quello volgarmente dato agli attributi virili, e gli orsi del film non si peritano di usare frequenti giochi di parole non sempre traducibili nella nostra lingua. L’impresa è però sfangata, e adesso i sottotitoli di Bearcity sono una realtà. Potete scaricare direttamente il file dei sub da questo link: Bearcity Sub ITA.  Ma li trovate anche su www.opensubtitles.org, come già quelli per Cachorro e Chuecatown, frutti precedenti del nostro lavoro amatoriale di traduzione. Non sarà tutto perfetto, ma è un inizio affinché Bearcity possa essere visto e compreso nelle sue sfumature anche da un pubblico italiano non avvezzo a seguire i film in lingua originale.


Come dicevamo, un film-manifesto che parla di noi Orsi, senza pretendere di insegnarci nulla, ma possibilmente di sdoganare sentimenti e icone di una cultura gay ancora percepita da molti come qualcosa di strambo se non addirittura da emarginare. Romantico, ammiccante senza lesinare qualche scena di sesso esplicito (una in particolare ricorda, con le dovute proporzioni, le compulsioni erotiche da cartone animato descritte da Stanley Kubrik in Arancia Meccanica), Bearcity non sarà un film del tutto riuscito, ma sicuramente merita di essere visto. E’ il primo film veramente tematico sull’ambiente degli Orsi, che adopera linguaggi e simboli finora sommersi nelle tante pellicole a tema LGBT. E per gli addetti ai lavori, orsi e orsofili, è una vera festa vederli finalmente esplodere sullo schermo. E’ possibile che una maggiore capacità di osare, e andare oltre i meccanismi della commedia hollywooddiana, avrebbe reso la zampata più incisiva. Forse, con un impianto formale mediato da Sex and the City, una serie televisiva sarebbe stata la scelta più giusta (sebbene anche più rischiosa) per illustrare questo spaccato di vita ursina. Ma il fatto che in America si stia già parlando di Bearcity 2, ci fa sperare che tutto sia appena incominciato, che si possa andare oltre la semplice celebrazione di categoria e graffiare di più. Sognamo grandi cose per il nostro orsetto di celluloide, bambino peloso appena nato. Vorremmo, insomma, vederlo diventare grande e spaccare tutto. Ma intanto è qui, è nato. E questo è un motivo per festeggiare. Magari di brindare con un bicchiere di... Mutande Sporche, l’improbabile cocktail servito da Randy il barman nella discoteca ursina più bollente di New York. Chi non conosce ancora gli Orsi, con Bearcity sta per incontrarli, e forse (perché no?)... innamorarsi di loro. Woof!

NOTA: Circolano versioni censurate del film (epurate dalla breve scena dell'orgia) che potrebbero presentare problemi di sincronizzazione. Per queste versioni di Bearcity, consigliamo questi sub in italiano di riserva.







Nessun commento:

Posta un commento