mercoledì 20 aprile 2011

Linea 103: Nessuna luce all'orizzonte


Palermo, linea 103.
Sull'autobus, trio di studenti ventenni. Due ragazze, un ragazzo (che parla troppo):

«Dobbiamo andare all'Università, in via Basile.»
 «Attenzione, ragazzi. Questo è il 103, va dalla parte opposta.»
 «No, no. Abbiamo letto nella targa del percorso che fa capolinea alla stazione Notarbartolo. Quindi ci porta all'Università.»
 «La stazione Notarbartolo e l'Università sono in due direzioni opposte, ragazzi. Dovete prendere un altro bus.»
«No, no... qui dice che va alla stazione Notarbartolo. Quindi ci porta anche all’Università.»
«Io sono cresciuto davanti a quella stazione. E sono anche andato all’Università. Vi assicuro che siete sulla linea sbagliata.»
«Ma no, qui va alla stazione. Quindi anche all’Università.»

S’intromette l’immancabile cretino saccente (Ma perché deve esserci sempre qualcuno che vuole parlare anche se non sa un cavolo?!). Picchia bonariamente sulla spalla del ragazzo e dice:
«Tranquilli, ci arrivate all’Università. Questo autobus arriva a Porta Felice, poi torna indietro fino alla stazione Notarbartolo.»
«Grazie, grazie...»

Quando il deficiente saputello scende, finalmente, interviene l’autista.
«Non ci vado in via Basile. Questa linea non va all’Università. Ha ragione il primo signore.»
«Ma nel percorso abbiamo letto che va alla stazion...»
«QUALE stazione...»
«Notar... quale?!»
«Non è che state parlando della stazione Orleans, del Palazzo Reale, e del Villaggio Universitario?»
«Sì, sì! Appunto.»
«Appunto un corno! Dovete andare alla stazione Orleans?»
«S-sì.»
«Questo autobus non ci va.»
«Ma lì c’è scritto stazione...»
«STAZIONE COME?»
«No... tar... bar... tolo.»
«Ma non dovete andare alla stazione Orleans e all’Università?»
«S... s... iiiì.»
«E lì che cosa c’è scritto?»
«Not... ar...»
«OK, scendete qui e prendete quest’altra linea...»

In tutto questo, i tre ragazzi (il maschio soprattutto) non facevano che ripetere il dogma Stazione Notarbartolo=Università guardando tutti con grandi occhi da mucca aliena e bofonchiando frasi sconnesse.
Credetemi. Non faceva ridere. Solo tristezza e un vago senso di orrore.
Non posso farci nulla. Questi episodi, io, me li prendo in modo emblematico.

Proprio non ce la faccio. Non riesco a non pensare che:

- Sono studenti universitari, si suppone che studino.

- Non sono bambini, anche se non conoscono la città, dovrebbero sapere leggere e distinguere le destinazioni.

- Non sarei stupito se, una volta laureati, un giorno, davanti a un vocabolo che non si aspettano, rispondessero a qualcuno di più vecchio: «Parla facile, non parlare difficile», lasciando intendere di avere superato il numero di esami richiesto, ma di non avere mai preso in mano un quotidiano o un libro che non attenesse al loro corso di studi. Episodio che ho vissuto già parecchie volte, e che la dice lunga su Scuola e Università italiane.

- Il loro voto vale quanto il mio. E la loro capacità di valutare la realtà sociale anche.

- Sono i ragazzi nati e cresciuti durante quest’ultimo orripilante ventennio italiano, fatto di Grande Fratello, Berlusconismo, successo facile e celebrità come Costantino e Paris Hilton.

- Sono l’espressione prevalente di quell’unica famiglia possibile tanto cara ai politici di centrodestra. Tirati su da quelle mamme e quei papà che secondo certi ottusi baciapile del nostro parlamento sono irrinunciabili per il benessere psichico del bambino.

Starò invecchiando... ma sono episodi come questo che risvegliano il mio lato più nichilista. Vedere ragazzi così spenti è molto, molto triste.



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