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sabato 25 febbraio 2017

Telepatia contemporanea, buonismo e rom...


Diario del Capitano, data bestiale 25.02.2017


Il video delle due donne rom rinchiuse nel gabbiotto dei rifiuti da tre impiegati della Lidl dovrebbe commentarsi da sé.

Dovrebbe.

Sarà compito della legge perseguire chi ha commesso reato, come sarà compito dell'azienda per cui costoro lavorano decidere quale sia la posizione più opportuna da mantenere (notare, ho scritto “mantenere” e non prendere). Le minacce di boicottaggio nei confronti della ditta qualora i tre protagonisti dell'orrenda bravata fossero licenziati, infatti, non sono tardate. E' chiaro ormai a tutti. Per un numero vastissimo di italiani, i tre hanno agito bene. Sono innocenti, anzi da premiare. Qualcuno dia un oscar a questi signori per aver deliziato l'immensa platea italiana generando un consenso di pubblico che nemmeno il “Salò” di Pier Paolo Pasolini.

Ritorno con il pensiero a quando mi interrogavo (cosa che faccio tuttora) sulla mia personale scintilla di intolleranza, qualcosa che rimane acceso dentro di me, facendomi porre continue domande, e che ho sviscerato in capitoli passati del mio diario on line.

Torno anche a una metafora cui penso spesso. E cioè che i social network hanno praticamente reso realtà uno dei superpoteri più affascinanti e scomodi dell'immaginario collettivo: la telepatia, la capacità di leggere i pensieri altrui. Parliamo della telepatia ad ampio spettro, quella incontrollabile, che ti fa percepire senza filtri tutta la sgradevolezza del mondo intorno a te. Perché se i social generano dipendenza, l'orrido ti induce a contemplarlo. L'uomo è una bestia, reagisce a stimoli preordinati come un cane di Pavlov. E lì partono altre domande.

Domande inutili, eh! Come: comprendo il successo dei social, ma i commenti dei lettori su ogni sito di giornalismo elettronico quale funzione dovrebbero avere? Fornire il polso dell'opinione pubblica? Non credo, si dibatte già abbastanza sull'affidabilità delle metodologie statistiche. Facilitare l'interazione con la testata? Difficile. Sono sempre esistite le lettere al direttore, le possibilità di comunicare privatamente non mancherebbero. Creare un'area di discussione? Come no! Sentivamo la mancanza di trasmissioni come “Aboccaperta”, dove a fare spettacolo era una rissa che non poteva fisiologicamente arrivare a nessuna conclusione costruttiva.
Perciò? Che cosa sono quei commenti sotto ogni articolo pubblicato on line, che utilità hanno? Cori da stadio? Il rumore del pubblico intorno a un'arena in cui i gladiatori si sventrano? L'automatica necessità di aggiornarsi, pettinando il trend tecnologico delle masse che ormai prevede di dare diritto di parola a chiunque e su qualunque tema, anche se stiamo parlando di fissione nucleare?

Sarebbe questa la democrazia diretta?

E l'abuso della parola “buonismo”? Ne vogliamo parlare?

“Buonismo”. Se cerchiamo la definizione di questa odiosa parola (e sì, perché è un insulto, e non si discute), troviamo: Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî, o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica. (Treccani)

Quindi nella parola "buonismo" è contenuta in sostanza un'accusa di ipocrisia. Del resto, la condotta pubblica di un politico è un percorso che può essere monitorato.

In realtà, oggi, il popolo della rete, sputa (letteralmente) questo termine addosso a chiunque trovi incivile e sbagliato un determinato comportamento. Ogni volta che (ri)leggo questa parola, non posso fare a meno di chiedermi: quale sarebbe il suo contrario? Cattivismo? Pragmatismo? Giustizia? Eroismo? Franchezza?

Ho abbastanza anni sul groppone per sapere che molti adolescenti attraversano una fase psicologica che io chiamo “caterpillar”. Avviene in genere tra i diciassette e i vent'anni (in qualche caso si trascina con esiti perniciosi, e può diventare cronica) e consiste nella convinzione di essere nobili d'animo per il semplice fatto di dire sempre a tutti, senza sovrastrutture, quel che si pensa. La propria verità (che è sempre percepita come assoluta), confondendo il concetto di franchezza con quello di maleducazione (non sempre dire tutto quello che si pensa senza alcun ausilio diplomatico è cosa buona e giusta).
Sono piccoli, ma crescono. E la fase passa...

O non passa più... nell'era dei social? Un congruo numero di like è sufficiente a far sentire nel giusto chiunque. Qualunque stronzata diventa Vangelo con un bel po' di pollici in su. I petti si gonfiano e le idee (confuse) si radicano sempre di più.

Buonisti. Questo è chi pensa che quell'azione fosse violenta, espressione di una pulsione sadica prima ancora che razzista, e in ogni caso un reato. Anche un poliziotto che spara a un ladro disarmato e con le spalle al muro commette un crimine. Non importa se il ladro ha le tasche piene, il poliziotto andrà punito secondo la legge.

Anche questo paradigma appena riassunto potrebbe scatenare tifoserie contrarie. Mi chiedo quale delle due fazioni farebbe più incetta di “buonista” scatarrati lì, tanto per gradire.

Poi incontri, tra i commenti, il razzista che ha per avatar l'icona di Che Guevara. E lì inizia (si fa per dire) il vero divertimento. Il cortocircuito massimo. Qualcuno gli fa notare che dovrebbe cambiare avatar. Un altro fa notare che il Che era un assassino, che fucilava gli omosessuali, eccetera, eccetera.

Ha senso (cioè, ne vale la pena?) discutere sul concetto di icone? Sul fatto che la mitizzazione di personaggi storici è comunque da prendere con le molle, e che dietro ai movimenti politici e alle scelte giuste e sbagliate ci sono comunque esseri umani, fatti di carne, sangue e merda. Che i simboli possono fare il loro tempo. Ma anche sganciarsi dalla complessità, a volte contraddittoria, di chi li ha ispirati per diventare altro. Che ormai sono poco più di uno pretesto per accapigliarsi ulteriormente?

E la parola “comunista”? Usata come aggravante di “buonista”, cui ormai raramente si vede rispondere di rimando: “fascista”?

Difficile trovare un senso in tutto questo caos. E' una conseguenza di questa moderna telepatia collettiva. Tutti conosciamo i pensieri di tutti. Quelli più superficiali, certo, ma proprio per questo più dannosi. E siamo tutti sulla stessa barca, tutti parte dello stesso telefono senza fili. Possiamo spendere una parola gentile, ispirare simpatia. Un attimo dopo tirare fuori una porcata immonda, o una ciclopica stupidaggine e far fuggire chi aveva pensato di avvicinarsi.

La telepatia, questa telepatia contemporanea, non è un progresso. Non è un dialogo. E' solo un rumore di fondo in cui nessuno pensa davvero. E' solo rumore, rumore e ancora rumore.

Urla. Come quelle delle vittime di una totale assenza di empatia.

Forse è questo il contrario di buonismo.

Un ripasso. Il termine "buonismo" è un neologismo introdotto nell'ambito del giornalismo con riferimento al mondo politico, e ha avuto una stagione di particolare popolarità negli anni 90, di pari passo con il cammino mediatico di Walter Veltroni. Per "buonismo" si intende(va) una forma di ipocrisia. Cioè "fare i buoni senza esserlo", addomesticando modi e termini, ma mantenendo scelte difformi. Oggi, il famigerato "buonismo" è usato per ribattere a chiunque faccia notare che un comportamento è violento, incivile, sbagliato, magari anche illegale. Roberto Saviano e tanti con lui, in questi giorni si sono chiesti "se questo è buonismo, come si chiama il suo contrario"? Aggiungerei: se dico che un determinato atto è incivile, dandomi del buonista... mi stai dando praticamente dell'ipocrita? Perché questo sarebbe il significato di "buonista", un "finto-buono". Stai dicendo che in realtà io la penso come te, che fingo soltanto di essere diverso? Se è così, ignoro su cosa si basi questa certezza. Dobbiamo ancora trovare una risposta (e una parola) da contrapporre al "buonismo" usato in accezioni come questa. 

Come classificare chi buonista non è? Figaggine della malvagità? Fierezza della volgarità e del proprio essere bulli (o plaudenti nei confronti dei bulli)? Forse la parola giusta suona desueta a qualcuno, ma io a questo punto la riadotterei. Li chiamerei "fascisti", anche se pensano di non esserlo. Come quando fascista era sinonimo di arrogante, picchiatore, prevaricatore. Se preferiscono un vocabolo diverso... ci sono tante parolacce tra cui scegliere. Non credo che la parola si possa cercare altrove.

martedì 22 novembre 2016

Figlio di un preservativo bucato [di Howard Cruse] feat. True Colors


Un video a cui tengo molto, in quanto rappresenta una collaborazione (sia pure a distanza) con un altro Youtuber (Riccardo del canale True Colors) e che si propone di affrontare da due diversi punti di vista il tema delle diversità e della solidarietà. Riccardo è una persona disabile che testimonia coraggiosamente in video la quotidianità della sua condizione e la resistenza alle problematiche che la vita di ogni giorno mette davanti alla gente come lui. I nostri due video sono incrociati, anzi: specchiati, a partire dalle rispettive intro, pensate appositamente per collegare due tasselli che fanno parte di un'unica iniziativa. Riccardo parla di un'opera letteraria che tratta il tema della disabilità e della comunicazione. Io invito a riscoprire un classico americano (forse non abbastanza noto in Italia) che racconta di come le battaglie per i diritti civili degli afroamericani negli anni 60 si intrecciavano con la vita della comunità LGBT (ancora prima dei moti di Stonewall e la nascita di un vero e proprio movimento politico), narrando tutto dal punto di vista di un giovane gay che non ha ancora trovato un suo equilibrio. Si tratta di “Figlio di un preservativo bucato” (Stuck Rubber Baby, in originale) di Howard Cruse. Un romanzo a fumetti che andrebbe letto da tutti, e che ha molto da dire sul concetto di libertà, di lotta per il diritto di esistere, e di quel filo rosso che lega la libertà e la diversità di tutti. Quelle diversità che sono una ricchezza, e sono il motore del progresso e del cammino verso una vera forma di civiltà.




venerdì 28 ottobre 2016

"Perché non li ospiti a casa tua?"



«Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa la battuta-provocazione più gettonata da chi (spesso dando dell'ipocrita ad altri di diverso orientamento politico) esprime atteggiamenti xenofobi o dà il nome di "buon senso" (quello presunto di chi non ha mosso un dito per informarsi seriamente) con il razzismo più radicato. Ma torniamo alla domanda che pretende di mettere l'interlocutore con le spalle al muro: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Be', diciamo che con alcuni (ne ho conosciuti e sono stato tra loro) questa domanda casca non male, malissimo. Perché esistono persone, gruppi, centri sociali, che da soli o in comunità, hanno effettivamente accolto migranti caricandosi un onere che spetterebbe allo stato. Parlo di periodi anche precedenti all'attuale emergenza profughi. Parlo di gesti di solidarietà spontanea, magari idealista, magari imperfetta nella gestione del problema, che hanno l'effetto di un cerotto su una frattura. Ma che rimane comunque una scelta ben diversa dal rifiuto, e dall'arroganza di chiedere, dando per scontato che nessuno lo faccia: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa domanda, questa frase, questa... "roba" che tanti sembrano adorare rigirarsi sulla lingua, assomiglia tanto (davvero tanto) a un chewing-gum masticato da altri, poi passato di bocca, rimasticato, sputato e quindi ripreso in bocca da altri ancora, per rimasticarlo, continuare la catena e presentarlo a un altro malcapitato come se fosse un pasticcino goloso cui non si può dire di no. 

Questo è la frase «Perché non li ospiti a casa tua?» 

Quindi, solidarietà a Vauro e a tutti coloro che, in questi giorni, sui social o di presenza, tanno subendo l'insulto di questa stolida cantilena. 

Altroquando



giovedì 27 ottobre 2016

Dissociarsi da Goro e il concetto di vera ignoranza



Pubblico, copiando e incollando da Facebook, questo appello politico dell'attivista, e amico, Pietro Milazzo, in modo da dargli, nel mio piccolo, ulteriore diffusione.

Credo sia GIUSTO e DOVEROSO,
far partire una CAMPAGNA di PROTESTA DURA e di RIPROVAZIONE individuale e collettiva, per quanto e' accaduto presso GORO e GORINO (Ferrara).
E' giusto contestare e far vergognare questa comunità... per trasformare questo in un atto simbolico e culturale, per dare un esempio di SANZIONE e RIPROVAZIONE MORALE che sia un deterrente per analoghe porcate.
Si può partire inondando il fax e l'email del COMUNE con un semplice testo che dica: VERGOGNA .
Questi i dati:
Riferirsi a:Comune di Goro - Piazza Dante Alighieri, 19 - 44020 Goro (FE)
Tel:0533.792911 - Fax:0533.995179 - PEC:comune.goro@cert.comune.goro.fe.it - C.F.:82000830388
A commento, cos'altro potremmo aggiungere? 

C'è stata la discussa vignetta di Vauro, su Goro "non abbastanza chiusa". C'è questa iniziativa che parte da Palermo (ma che non è rivolta certo ai soli palermitani). C'è bisogno di dire no. Un "no" ancora più forte di quello che è stato detto, dai protagonisti di questo pessimo episodio di inciviltà italiana. Se servissero informazioni sull'accaduto e sulla sua illegittimità, rimando al video (sempre puntuale e arguto) di Breaking Italy, inserito in fondo a questo post.

E' giusto mettere in atto una protesta simbolica (una mail, un fax) che rifiutino non solo il razzismo, ma anche un'ignoranza compiaciuta. Anzi, fin troppo autoindulgente, sia da chi ne è portatore che da chi tende a motivare(e, magari in buona fede, a minimizzare) determinati comportamenti in quanto "'ignoranti".
Un'osservazione che vuole essere solo spunto di riflessione. Alcuni insegnanti di religione cattolica, alcuni sacerdoti e teologi, ci dicono che noi (riferito a un "noi cattolici") avremmo fatto le Crociate "in buona fede". Mi sono sempre chiesto: chi era in buona fede in quell'occasione? Forse la soldataglia. Forse. Gli interessi che realmente motivavano quella guerra santa (perché di questo si trattava) sicuramente no.
Un po' come minimizzare le azioni di un bullo a scuola, giacché "sono ragazzi". Il punto non è sottolineare l'ovvio, ma chiedersi come educarli, questi ragazzi.

Attenzione, allora, quando usiamo la parola "ignoranza" come forma di giustificazione o anche solo forma di "comprensione" nei confronti di chi ha atteggiamenti razzisti o omofobi. La parola ignoranza è polivalente ed è un termine che sfugge come acqua tra le dita. Perché in un certo senso, siamo TUTTI ignoranti in qualcosa. Nessuno può essere preparato in tutto. Per tutti noi esisterà sempre un argomento sul quale non siamo debitamente informati, preparati.
Nello stesso modo, non tutti pretendiamo di parlare, fare scelte, giudicare, prendere posizione in merito a cose che non conosciamo. Là non si tratta più di ignoranza. Si dovrebbero cercare altre parole. 

Parole. Al plurale. E sono tante. Non sempre facili da scegliere.

Semplificando molto, esistono persone consapevoli della propria ignoranza e volenterose di informarsi. Altre che agiscono senza preoccuparsene troppo, magari gonfiando il petto e facendo selfie festosi per la battaglia vinta.


L'ignoranza è il minore dei mali.
Altroquando

venerdì 8 luglio 2016

Scarafaggi (veri e wannabe)

 


Diario del Capitano, data bestiale 8 Luglio 2016...

Spesa al supermercato vicino casa. Uno dei giovani impiegati fa su e giù con aria da pavone intorno a una collega che sta rassettando l'ortofrutta. La chiama "signorina" ma con un tono mellifluo, che sottintende sia già successo qualcosa di poco piacevole tra loro. Lei si gira e lo fulmina con un'occhiata. «Non mi toccare!» gli intima. Lui: «Non abbiamo ancora fatto pace?» Lei non gli risponde. Dopo qualche minuto sono in fila alla cassa. Un garzone di colore entra nel market dopo la consegna, e il tipo di prima lo apostrofa: «Ehi, sai cos'è successo in un'altra città a uno come te?» E gli racconta con un tono umoristico incomprensibile l'assassinio brutale dell'uomo nigeriano a Fermo. Ride, e il ragazzo di colore, che probabilmente non ha compreso bene il racconto, confuso e pieno di lazzi, ride con lui (forse anche perché ha necessità di stare in campana e non perdere il lavoro). Nel frattempo si inserisce anche il cassiere: «Non appena siete soli di là, ammazzalo.» Fa un gesto come di accoltellamento. E giù risate.

Non ho potuto fare a meno di grugnire tra i denti qualcosa come... e ci scherzate pure! Complimenti!
Per quello che può servire, per quanto simili figuri possano capire del dissenso che li sfiora ma non li travolge. Mi scopro a pensare con amarezza che non mi trovo su un social network. E' il mondo reale. Lo stesso che ha stroncato una vita senza nessun motivo. E adesso trova pure motivo per riderne.
Una volta, un mio familiare, si trovò tra i piedi un grosso scarafaggio e lo colpì con la scopa fino a spezzarlo in due. Io rimasi orripilato... ma anche chi aveva la scopa in mano era sorpresa dalla violenza che la ripugnanza le aveva fatto tirare fuori. Mi disse balbettando: «Non doveva sconfinare nel mio territorio...»

Credo che certi atti di violenza razzista non siano dissimili dalla furia irrazionale contro un insetto schifoso che ti entra in casa. Non doveva oltrepassare il confine. Mi fa schifo, lo odio, non voglio mi sfiori, non è un essere umano. E' uno scarafaggio.

«Non mi toccare!»

E a volte questo ragionamento riguarda esseri umani di etnia diversa. Percepiti alla stregua di una creatura disgustosa, aliena, solamente dannosa. Nella tua percezione talmente simile alla spazzatura che ucciderla non ti sembra neppure una colpa, una responsabilità, qualcosa che meriti una riflessione etica.
Non è troppo diverso non cogliere la gravità di quanto è successo. Farne motivo di scherzo, magari dopo aver importunato una donna (dimostrarti stronzo a 360° in meno di cinque minuti è davvero un bel primato). E quanto è bello, quanto è incoraggiante, vedere scattare così facilmente la solidarietà tra questi...

...scarafaggi.

Blatte. Bacherozzi. Mangiapane. Gli esseri che probabilmente avrebbero maggiori possibilità di sopravvivenza a una catastrofe nucleare.

Sono stanco. Stanco di tutto. L'umanità in fondo ha avuto la sua chance. Forse è arrivato il momento di lasciare tentare qualcun'altro.


venerdì 4 settembre 2015

In nome della foto



Diario del Capitano. Data bestiale 4 Settembre 2015...

Non entrerò in merito alla polemica (comprensibile, ma anche fuorviante) sulla condivisione sui social network delle foto di bambini morti (o immigrati adulti). Tutto sembra cortocircuitare in un match tra il partito del "dobbiamo osservare il pasto nudo, vedere e capire cosa mangiamo ogni giorno" e quello del "rifiuto alla pornografia della violenza". Cortocircuito, appunto. In queste ore sto riflettendo. Di norma, i nostri contatti sono persone con cui condividiamo un minimo sindacale di visioni del mondo. E' difficile (almeno credo sia la norma) avere tra gli "amici" di Facebook qualcuno che è totalmente agli antipodi con te, politicamente, eticamente, e così via. E se pure succede, per caso, non dura a lungo. Bene. Prendiamo due dei miei amici a caso. Non amici di Facebook lontani e mai incontrati dal vivo, gente che conosco direttamente e di cui conosco la buona fede. Sono entrambi antirazzisti, hanno entrambi avversione per gli atteggiamenti xenofobi e sono tutti e due seriamente addolorati dalle notizie e dalle immagini che ci bombardano in questi giorni.

Perché dico questo?


Perché OGGI li vedo militare su due "piccoli fronti" opposti pur condividendo la stessa visione sociopolitica. Quello che mi balza agli occhi è la futile discordia tra "foto sì e foto no". Una spaccatura che a volte sfiora l'insulto e la rissa. Quello che non mi dà pace è questa battaglia, neppure tanto sotterranea, tra queste due sponde che appartengono alla stessa fazione. Gli argomenti accomunano, le modalità dividono. E la parola "ipocrita" rimbalza da una parte all'altra come la pallina in una partita di ping pong. Ed è irritante quanto ascoltare i commenti xenofobi.


Perché tutto questo?


Ma soprattutto: è davvero casuale?
E' questo il social network? Un'arma di distrazione di massa? Un generatore di divisioni insensate?
Facciamo tutto da soli o qualcosa, qualcuno detta la nostra agenda?
Oggi ho questa domanda in testa.

lunedì 31 agosto 2015

Evoluzione: marcia indietro


Diario del Capitano, data bestiale 31 Agosto 2015.

Palermo. Mezzi pubblici, come di consueto affollatissimi (perché in Estate, si sa, le vetture si riducono parecchio). Un'enorme merda a forma di donna sale sul bus. Va per timbrare il biglietto. Naturalmente la macchinetta fa cilecca. Allora (anziché tirare fuori la penna) deve per forza parlare con l'autista e farlo obliterare a lui. Mi cammina comodamente sui piedi (e mi fa male). Sgomita nelle costole di tutti. Poi si trova davanti una ragazza indiana che si regge a uno degli appositi sostegni e non sta dando fastidio a nessuno. La apostrofa, le dà del tu, e le dice di togliersi di mezzo. Mentre fa obliterare il biglietto all'autista, la "signora" brontola lanciando occhiatacce alla giovane indiana che poveretta non ha fatto nulla. «Manca poco... che vorranno comandare loro!» Un giovane testa di cazzo alle mie spalle non si fa scappare l'imbeccata. «No, signora,» risponde, «In Italia comanda l'esercito!» e giù con un discorso delirante che vorrebbe dire tra le righe che saremmo noi cittadini a dover fare rispettare le leggi... «E allora tutti questi sarebbero impacchettati e rispediti a casa!» è la conclusione logica della sua analisi politica (urlata nelle orecchie di chi gli sta vicino, mentre la giovane indiana si guarda intorno spaurita e la grande merda a forma di donna annuisce trionfante). Mi sposto a fatica da quel merdaio autoctono e mi rifugio in mezzo a un gruppo di extracomunitari di colore. Per qualche ragione, mi sento più al sicuro. Ma nel frattempo il bus ha fatto un'altra fermata. Quindi, altra infornata di coglionaggine. La gente sale urlando contro l'autista per il tempo che ha aspettato (si sa, il palermitano doc protesta e si fa sentire, anche se lo fa in modo del tutto inutile con l'ultimo chiodo del carro, l'importante è sfoggiare volgarissima sicumera). I commenti sono quelli più triti. Un'altra "signora" continua a ripetere come un mantra «Vergogna, Italia, vergogna!». Un ragazzo, separato da lei dal muro umano e sudato di passeggeri stipati, alza il braccio in un saluto romano (non si capisce se per sfotterla o se fa sul serio) e grida un «Duce! Duce!» estemporaneo. La risposta della seconda signora non si fa attendere. «Magari ci fosse ancora il Duce. Le cose funzionerebbero.»
Mi scopro a notare che questa seconda ameba non deve essere molto più vecchia di me. Da dove le viene questa stronzata da nostalgico del ventennio? Poi ripenso a circa trent'anni di Berlusconismo, all'avvento della Lega e alla crisi che spinge a cercare capri espiatori e invocare poteri forti. La Storia, temo, non ci insegna più nulla. Qualcuno ha messo indietro l'orologio. Peggio, lo ha rotto. Ma è un cucù, e la molla continua a pigolare un motivo senza senso con fare sicuro e arrogante: cucù... cucù.. cucù...

sabato 4 ottobre 2014

3 Ottobre alla Cala di Palermo: Esodo e riflessioni

 


C'è qualcosa di inquietante nella bellezza minimalista dell'opera Esodo di Anne Clémence de Grolée, artista francese che ha scelto la Sicilia come teatro della sua sperimentazione sulle metamorfosi umane e sociali. Una trasformazione che, nel caso di Esodo, ci parla del viaggio, dell'aspirazione al cambiamento, e tristemente del passaggio dalla vita alla morte, e dalle rovine al simbolo di un vissuto da ricordare, affinché qualcosa cambi ancora, e ancora... verso un traguardo ideale.

Sì, perché le barche di legno che compongono l'installazione Esodo, presente ieri 3 Ottobre 2014 presso il porticciolo della Cala di Palermo, ed esposte ciascuna con un'etichetta che rimanda alla data di un naufragio, sono state realizzate utilizzando relitti di legno raccolti dall'artista sul lungomare, alcuni dei quali hanno probabilmente visto la tragica fine di numerosi profughi nelle acque del Mediterraneo.

Una manifestazione partecipata, al di là delle facili retoriche, e animata dall'intervento musicale dei ragazzi della scuola S.M.A. Pecoraro, dal sassofonista Vito La Paglia e dal Trio Animeincanto. Un momento di riflessione che dovrebbe aiutare a superare le frontiere del pregiudizio e a guardare ai frequenti naufragi e ai relativi morti con occhi più consapevoli. Il tanto denaro intascato da scafisti senza scrupoli, sufficiente per pagare viaggi in condizioni ben più umane e sicure, ma reso inutile dalla normativa vigente. Linfa fornita all'indecente traffico di merce umana da politiche migratorie punitive, il cui unico, concreto risultato è come benzina sul fuoco delle morti in mare, della criminalità, della deriva del nostro attuale senso di umanità.


COORDINAMENTO ANTIRAZZISTA PALERMO, Borderline Sicilia, Laici Comboniani, booq, Comitato Antirazzista Cobas, Associazione Di.a.Ri.A, ARCI Palermo, CISS/Cooperazione internazionale Sud Sud, Osservatorio contro le discriminazioni razziali Noureddine Adnane, Circolo Arci Malaussène, Coordinamento di solidarietà con la Palestina, L'Altro Diritto Sicilia, Centro Salesiano Santa Chiara.

Alla manifestazione hanno aderito: Coordinamento antitratta Favour e Loveth, Coordinamento antiviolenza 21 luglio, Siamo Tuttti No Muos, MIR, Comitato NoMuos Palermo, Associazione Antimafie Rita Atria